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Proteine veg e “carne coltivata”: il cibo del futuro raccontato sulla rivista ‘Food Hub Magazine’

La Redazione
Sarah Lucas
Il nuovo progetto editoriale è stato ideato da due pugliesi: il noiano Francesco De Carolis e il bitontino Fabio D'Elia
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Da qualche mese è edita la rivista online Food Hub Magazine™, un progetto editoriale ideato dai pugliesi Francesco De Carolis (di Noci) e Fabio D’Elia (di Bitonto), colleghi del corso di laurea magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari, presso l’Università “Alma Mater Studiorum” di Bologna.

I fondatori hanno consolidato la propria amicizia nel corso della laurea triennale in Scienze e Tecnologie Alimentari, presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”.

Food Hub Magazine è una rivista di settore che si occupa di innovazione e ricerca in ambito food. L’obiettivo è fornire alla community, costituita da studenti, laureati e professionisti del settore alimentare, contenuti di valore redatti da autori dalla comprovata esperienza, avvalorati dalle più autorevoli fonti bibliografiche. Nondimeno, gli autori si dichiarano fieri della loro totale indipendenza espressiva, comprovata dall’assenza di sponsorizzazioni da parte di aziende del settore.

Il progetto editoriale debutta a settembre 2018 con la prima uscita focalizzata sull’introduzione degli insetti edibili come nuova fonte alimentare. L’uscita ha visto la partecipazione di diverse aziende specializzate. Viste le potenzialità del progetto, Food Hub Magazine cresce e affronta il delicato tema degli sprechi, scarti e sottoprodotti del settore agroalimentare. La seconda uscita, pubblicata a gennaio 2019, ha accolto la partecipazione di accademici dell’Università di Bologna e della Tuscia, oltre che diverse realtà aziendali fra cui Amadori, Orogel e Conad.

L’ambizione spinge gli autori ad ampliare i gli orizzonti e invitare come autori della terza uscita, online dal 3 maggio, alcune società localizzate oltre confine (Olanda e USA), coinvolte nella ricerca di nuove fonti proteiche alternative alla carne. A seguito dell’incremento demografico e delle ripercussioni sull’ambiente associate alla necessità di aumentare la produzione di carne, diversi sono gli attori del settore agroalimentare che si stanno impegnando nella ricerca di nuove alternative proteiche. Così insetti, alghe, burger che mimano il sapore e la consistenza della carne, stanno prendendo piede e presto probabilmente saranno sugli scaffali della distribuzione italiana. Nella terza uscita di Food Hub Magazine sono presenti articoli su questo importante tema, redatti da diverse aziende internazionali e membri della comunità scientifica italiana.

Di seguito pubblichiamo un estratto di un articolo comparso sull’ultimo numero della rivista, che affronta un argomento singolare. Si tratta della prima intervista, in Italia, al direttore operativo di Mosa Meat, società olandese specializzata nella realizzazione di metodi per la produzione di “carne coltivata”, fondata nell’ottobre 2015 da Mark Post e Peter Verstrate. L’intervistata racconta tanti dettagli della loro storia e dei metodi di produzione di questo nuovo prodotto, che nei prossimi anni potrà essere fra gli scaffali della distribuzione italiana.

L’intervista

(disponibile integralmente sul terzo numero di Food Hub Magazine)

Come è nata Mosa Meat?

Nei Paesi Bassi, un imprenditore di nome Willem Van Eelen sostenne una campagna a favore dell’introduzione della carne coltivata. Nel 2008 ottenne dei finanziamenti da parte dello Stato per un progetto a cui presero parte diversi ricercatori e imprenditori del settore, decisi a valutare le potenzialità della carne coltivata. Fu proprio in questa occasione che avvenne l’incontro tra Peter e Mark (Amministratore Delegato e Direttore Vendite di Mosa Meat). Erano entrambi così convinti della realizzabilità di questo progetto, che continuarono a lavorarci anche una volta terminati i finanziamenti ricevuti. Il motivo che li spinse a credere così fermamente in questa idea, fu che entrambi vedevano in essa una possibile soluzione all’imminente crisi alimentare. I rapporti FAO prevedono infatti che la richiesta mondiale di carne crescerà del 70% entro il 2050, ma l’offerta derivante dall’allevamento animale non sarà in grado di reggere il passo. Per di più, in questo modo si aggraverebbe anche l’impatto negativo che l’allevamento intensivo ha sull’ambiente. Peter e Mark decisero di fondare Mosa Meat per trasformare la carne coltivata in un prodotto di largo consumo, cosicché la produzione di carne risultasse meno dannosa per l’ambiente, gli animali e la salute umana. Qual è stato il primo passo che avete compiuto una volta presa la decisione di lanciarvi nella produzione di carne coltivata? Per prima cosa è stata necessaria la realizzazione di un prototipo scientifico, capace di dimostrare come fosse possibile coltivare le cellule anche al di fuori di un corpo animale. Stiamo parlando del celeberrimo hamburger che venne presentato nel 2013, durante una conferenza stampa tenutasi a Londra. Per realizzare i 3 hamburger che vennero presentati, furono necessari ben 9 mesi di duro lavoro e un costante impegno da parte dei ricercatori nella loro attività di laboratorio. Ogni hamburger aveva un costo di 250.000 euro (il progetto venne finanziato da Sergey Brin, co-fondatore di Google). L’evento del 2013 assunse grande rilevanza nell’opera di sensibilizzazione su questa nuova tecnologia produttiva e risvegliò l’esigenza di sviluppare un’industria della carne coltivata che fosse all’avanguardia. Il passo successivo per Mosa Meat consisteva, quindi, nel mettere a punto un sistema di produzione modulare.

Quali sono le ragioni principali che vi hanno portato a credere in questo progetto?

Siamo molto fiduciosi riguardo alle potenzialità della carne coltivata di ridurre i danni procurati agli animali e porre fine al disastroso impatto ambientale esercitato dalla produzione di carne animale. Ho svolto studi nel campo dell’economia e della tutela del benessere animale, constatando quanto sia difficile convincere le persone a cambiare le loro abitudini alimentari, soprattutto qualora ciò richieda uno sforzo cospicuo. Oggi, per le molte persone che amano la carne è difficile convertirsi a una dieta vegetariana o vegana. Quando mi sono imbattuta per la prima volta in un articolo sulla carne coltivata, sono rimasta entusiasmata da questa nuova tecnologia, perché consentirebbe di continuare a mangiare carne, senza però imporre agli animali le dure condizioni dell’allevamento industriale. Sono anche molto preoccupata per il contributo negativo che l’allevamento animale da al cambiamento climatico, alla deforestazione e alla progressiva perdita di biodiversità. È sconvolgente pensare come il 70% della foresta amazzonica sia già stato disboscato per essere destinato al pascolo. È stato calcolato che la produzione di carne coltivata richiederà il 99% in meno di terra, il che significa che vaste aree di terreno potranno ritornare al loro stato naturale (riacquisendo la loro funzione di riserve di carbonio).

Come viene realizzato l’hamburger di Mosa Meat?

Il processo produttivo inizia da esemplari bovini selezionati. Per il momento, la produzione è ancora di bassa scala, ma in futuro potremmo arrivare ad avere circa 30.000 capi, che potrebbero provvedere all’intera produzione mondiale di carne bovina. Per prima cosa, senza causare il minimo dolore, abbiamo prelevato 1 grammo di tessuto al fine di ottenere cellule staminali da trasformare poi in cellule muscolari o adipose. Successivamente, le cellule vengono nutrite con una serie di nutrienti e fattori di crescita di origine naturale, che ne inducono così la moltiplicazione a livelli esponenziali (proprio come se fossero all’interno di un corpo animale). Per diversificare le cellule muscolari da quelle adipose basta semplicemente eliminare i fattori di crescita e lasciare che siano loro stesse a distinguersi in maniera spontanea. Le cellule vengono coltivate su scaffolds in gel (delle impalcature tridimensionali, di varia natura, che sostengono l’architettura cellulare), sui quali iniziano a fondersi insieme formando degli anelli. Da qui le cellule cominciano poi a contrarsi e ad aumentare di volume, dando vita a fibre muscolari. Alternando strati di fibre muscolari a strati di cellule adipose, si ottiene infine un hamburger.

Credete che la carne coltivata possa diventare il cibo del futuro?

Siamo convinti che la carne coltivata possa davvero diventare il cibo del futuro. Tutto dipende dal progresso tecnologico e dalla capacità di realizzare prodotti 3D (es. bistecche) o macinati. Un altro fattore determinante è la competitività dei prezzi della carne coltivata, il cui raggiungimento pensiamo possa richiedere almeno un decennio. Ma una volta appurato che i prodotti a base di carne coltivata (la cui produzione non arreca alcun danno né agli animali né all’ambiente) sono di alta qualità, non dovrebbero esserci ostacoli alla conquista del consenso generale dei consumatori.

martedì 7 Maggio 2019

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